Il valore del “non attaccamento”

Propongo una riflessione su un tema che ritengo essenziale in ogni percorso di terapia, crescita personale e sviluppo della coscienza: il valore del non attaccamento.
Considero infatti il non attaccamento un’attitudine di vita di fondamentale importanza per stare bene con se stessi e nel mondo, per camminare saldamente sul sentiero della felicità più autentica, che non dipende da desideri, successi o eventi esterni a noi.

Non attaccamento a che cosa? E perché?

Innanzitutto, consideriamo l’aspetto più intuitivo: è sano coltivare il non attaccamento nei confronti degli oggetti materiali. E’ ormai noto che il possedere dei beni materiali non conduce automaticamente alla felicità, e che anzi essere troppo attaccati agli oggetti, di qualsiasi genere siano – soldi, auto, vestiti, ecc. -, produce spesso un senso di apprensione, ansia e paura. Ovviamente, gli oggetti hanno solo una funzione strumentale – servono a qualcosa -, per cui è quantomai insensato attaccarsi ad essi come se fossero una parte di noi. Addirittura in alcuni casi si rischia di diventare schiavi di oggetti che noi stessi abbiamo creato e a cui abbiamo ceduto senza accorgercene un pezzo del nostro senso di identità.

Compiendo un passo più in profondità, invito al non attaccamento ai pensieri, alle emozioni, alle sensazioni fisiche. Tutti questi elementi, che sono alla base del nostro essere nel mondo e del nostro fare esperienza nella vita, hanno una caratteristica evidente per le quali è inopportuno legarvisi: sono transitori. Alcuni durano di più, altri di meno, ma in ultima analisi tutti hanno un inizio e una fine. Invariabilmente, un pensiero o un’emozione, piacevole o spiacevole che sia, appare nel nostro campo di coscienza, ci accompagna per un po’ e poi se ne va per lasciare spazio ad un altro, e poi a un altro ancora…e così via costantemente. Perciò, è inutile se non addirittura dannoso ancorarci interiormente a uno qualsiasi di questi elementi di natura temporanea.
Ad esempio, se ci attacchiamo troppo a una sensazione piacevole derivante da un evento – un successo, un riconoscimento, un appagamento sensoriale, ecc – facendone la causa del nostro star bene, resteremo delusi quando esso finirà o quando sperimenteremo qualcosa di meno esaltante; guidati dall’attaccamento al piacere, vivremmo con un senso di mancanza perenne punteggiato da brevi interruzioni di temporanea soddisfazione, velata però dalla paura di perdere l’oggetto che ne è la fonte.
Se, al contrario, ci attacchiamo a una situazione spiacevole che ci provoca paura, tristezza o rabbia, rimanendo incastrati in quell’emozione, le diamo tanto potere da coprire l’intero spazio della nostra vita interiore, impedendo alla luce proveniente da altre esperienze di filtrare. In questo modo, aumentiamo esponenzialmente la portata negativa dell’evento originario ed espandiamo in modo improprio quel vissuto facendo sì che invada altri campi della nostra vita.

Se lo guardiamo con l’aiuto di una metafora presa dalla funzione umana più basilare, il respiro, il processo appare semplice: dobbiamo lasciare andare tutta l’aria nell’espirazione, per poter inspirare aria nuova e non trattenere anidride carbonica nei polmoni.

Inoltre, e questo è un punto delicato da comprendere, il valore del non attaccamento si evidenzia particolarmente nei confronti delle relazioni e, quindi, delle persone…del resto esse sono le principali fonti di emozioni, pensieri e sensazioni.
Anche le relazioni più importanti della nostra vita se vengono improntate all’attaccamento possono portare conseguenze negative come giudizio, invidia, aspettativa, gelosia, rancore, ecc; mentre se vissute nella libertà del non attaccamento possono essere un vero nutrimento e un’autentica fonte di crescita.
Specifico qui che non attaccamento alla relazione non significa essere indifferenti o non avere a cuore la persona, ma anzi porta ad una scelta consapevole di quella persona – che sia un partner, un genitore, un figlio o un amico –, aprendo alla possibilità di uno scambio onesto e fecondo perché libero dalle catene della dipendenza.

Qual è il significato del non attaccamento?

Il non attaccamento corrisponde a una sorta di “giusta misura” che ci rende capaci di esperire ciò che accade in modo consapevole, senza scadere nella bramosia o nell’avversione. Queste ultime, che derivano dall’attaccamento, sono proprio le principali fonti della sofferenza, come scrive G. C. Giacobbe ispirandosi alla saggezza orientale: “La sofferenza deriva dall’attaccamento a una situazione diversa da quella che c’è: dal desiderio di qualcosa che non ho o dall’avversione a qualcosa che ho”.

Poste queste basi, si può fare un passo in più: oltre a non essere utile attaccarsi a pensieri, emozioni, sensazioni e relazioni, è anche illusorio. Questo perché noi non siamo i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre sensazioni, ma li possiamo semmai osservare quando si manifestano nel nostro campo di consapevolezza. Per cogliere meglio questa prospettiva si può richiamare la classica metafora del cielo azzurro attraversato dalle nuvole: nella volta celeste passano nuvole delle più svariate forme e caratteristiche, ma il cielo rimane sempre tale nella sua essenza di fondo. Il cielo azzurro accoglie le varie nuvole che si manifestano e le lascia scorrere via secondo il ritmo naturale. Con l’attaccamento alle situazioni e ai vissuti è come se cercassimo di incollare le nuvole al cielo o di aggrapparci ad esse, mentre nel non attaccamento lasciamo che scorrano naturalmente, godendo della complessità d’insieme data dalla compresenza dello stare del cielo e del fluire delle nuvole.

Non attaccamento: apatia o libertà?

Il non attaccamento non coincide con apatia o assenza di sentimenti, ma è la capacità di accogliere in modo aperto i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre sensazioni, viverli per ciò che sono e poi lasciarli andare naturalmente. Non attaccarsi vuol dire non avere appigli interiori a cui le cose possano agganciarsi, quindi in realtà avere più libertà di essere e sentire: si può attraversare un dolore intenso o lasciarsi attraversare dalla gioia più estasiante (e viceversa), senza identificarci con quella gioia o con quel dolore. Questo è un punto fondamentale: non attaccamento significa essenzialmente non identificarsi con le piccole e multiformi sfumature dell’arcobaleno dell’esistenza, comprendendo di essere parte dell’intera gamma dei colori. Vuol dire lasciare fluire la vita, come un sasso in un fiume che non pretende di fermare l’acqua che scorre, ma non evita di bagnarsi – o, se preferite, come l’acqua che scorre senza cercare di aggrapparsi ai vari sassi che incontra.

L’atteggiamento del non attaccamento, quindi, non equivale all’indifferenza, non nega la possibilità di avere dei desideri e degli obiettivi e di godere di piccole soddisfazioni, ma mette in guardia dal far dipendere da essi la nostra felicità. Sarebbe infatti davvero limitante e illusorio poter essere felici solo “in funzione di qualcosa” e non riconoscere in noi stessi l’autentica fonte dello stato di ben-essere.
Come scrive Eckhart Tolle: “La felicità che proviene da qualche fonte secondaria non è mai molto profonda. È soltanto un pallido riflesso della gioia dell’Essere, della pace vibrante che trovate interiormente quando entrate nello stato di non resistenza”.

Tirando le fila delle riflessioni fatte, si può desumere che uno degli aspetti più profondi del non attaccamento si attua nei confronti della dimensione temporale: se non ci identifichiamo con ciò che accade, siamo liberi dal peso del passato e dalla paura del futuro e possiamo essere davvero presenti nel qui e ora. Ci possiamo immergere nella vita un momento dopo l’altro, accettando ciò di cui facciamo esperienza con assoluta libertà interiore nell’unica dimensione effettivamente reale: il presente.

Sintetizzando perché è importante coltivare un’attitudine di non attaccamento:

  • Tutto è impermanente e soggetto al divenire, almeno nel piano in cui viviamo noi umani
  • Per avere una “giusta misura” nei confronti delle esperienze
  • Per poter essere indipendenti da fonti esterne di felicità e trovarne la sorgente in noi
  • Per una profonda accettazione del presente che stiamo vivendo, l’unica dimensione reale