Etichettamento del diverso e valore del dubbio
Stimolato dalla situazione sociale in atto e dai conflitti ideologici che si osservano sempre più frequentemente, propongo una riflessione sugli aspetti psicologici connessi al fenomeno dell’etichettamento del diverso e sulle sue conseguenze.
La cosiddetta “Labelling Theory” è una teoria sociologica della devianza, che descrive come il processo di “etichettamento” sociale di un individuo o un gruppo sulla base di determinate caratteristiche o comportamenti ritenuti negativi possa condurre all’identificazione sempre più totalizzante di quella persona o gruppo con il ruolo di “deviante” che gli è stato attribuito. In sintesi, questo accade perché l’etichetta affibbiata ripetutamente crea un effetto di stigmatizzazione e diviene lo status rappresentativo di quel soggetto a livello sociale, influenzando la percezione dello stesso fino a oscurare tutti gli altri aspetti che lo caratterizzano. In sostanza, l’individuo si trasforma – per la società e talvolta anche per se stesso – nell’etichetta che gli è stata attribuita.
Applicando una chiave di lettura psicologica a questo fenomeno, ne ritroviamo una delle radici principali nella paura – emozione presente a livello viscerale in ogni essere umano perché legata alla sopravvivenza -, che è il terreno fertile sul quale possono attecchire i pregiudizi nei confronti del diverso nelle loro varie declinazioni.
E’ infatti comune che l’altro venga etichettato negativamente quando è diverso da sé per provenienza, caratteristiche fisiche e culturali, idee, comportamenti. Ciò che non capiamo o non condividiamo può spaventarci, giacché va a minare i nostri punti di riferimento interni ed esterni: ci accorgiamo che esiste un mondo oltre il mondo che ci è familiare, uno spazio in cui non abbiamo coordinate precise per orientarci. Di fronte a questo smarrimento, è frequente osservare che le persone reagiscano con rifiuto, rabbia e aggressività, proprio perché si attivano vissuti che toccano aspetti molto profondi, connessi al senso di identità e al bisogno di sicurezza.
Aggiungiamo poi che questo fenomeno di etichettamento sociale del diverso viene sovente alimentato dai mezzi di informazione, che tendono a favorire la divisione in due gruppi contrapposti e inconciliabili tra loro, producendo il meccanismo psicologico definito “in-group VS out-group”: l’identificazione totale con valori e norme del gruppo di appartenenza, associato al rifiuto e all’ostilità verso l’ideologia del gruppo vissuto come contrapposto.
In questo caso le conseguenze sono l’annullamento della dialettica e l’inaccessibilità del confronto su base costruttiva, poiché chi è vittima di questo fenomeno psicologico e sociale è portato a vedere nell’altro solo l’ignoranza, l’errore, la minaccia e finanche la follia.
Tutto si riduce ad uno sterile “noi contro di voi”, che coarta i vissuti, non permette uno scambio reale e di conseguenza ostacola le possibilità di evoluzione individuale e collettiva.
Andando un passo più in profondità nell’analisi di questo fenomeno, si può notare come in questa sorta di guerra tra fazioni venga a mancare un elemento essenziale per la crescita intellettuale ed emotiva dell’uomo: il dubbio.
La disponibilità a mettere in discussione sia quello che ci viene comunicato dall’esterno sia le proprie idee e posizioni è il motore del ragionamento critico, l’essenza della ricerca, poiché stimola l’osservazione, la curiosità, le domande e le riflessioni. Il dubbio, inteso in senso socratico, è il fondamento stesso della conoscenza, che è per sua natura sempre passibile di cambiamenti, come un viaggio itinerante con mete in continuo divenire.
L’approccio basato sul dubbio consente di uscire dalla logica dicotomica per aprirci alla complessità del reale, che in ogni campo di indagine ci invita con sempre maggiore evidenza ad un approccio sistemico e non rigidamente contrappositivo: l’epistemologia del “et-et” che supera quella del “aut-aut”.
Invece, etichettando a priori ciò che è diverso dal nostro modo di vedere le cose come erroneo o addirittura pericoloso – e ritorniamo al ruolo centrale della paura -, ci areniamo nel dogmatismo e perdiamo la possibilità di progredire nel processo conoscitivo, che è fatto anche di integrazioni, modifiche, cambi di rotta.
Ampliando la prospettiva al piano psicologico-esistenziale, possiamo riconoscere che solo lasciandoci alle spalle il porto sicuro delle nostre certezze e imbarcandoci nel mare del dubbio possiamo navigare verso una autentica crescita personale.
Come sempre, il viaggio inizia in primis da noi stessi, perché come diceva Jung: “In ognuno di noi c’è un altro che non conosciamo”. Dunque sta a noi scegliere se sondare con mente e cuore aperti quello spazio che si trova al di là delle idee con cui ci siamo identificati, per quanto rassicuranti possano essere.
Immaginiamo allora di provare a sospendere il giudizio nei confronti del diverso, a riconoscere eventuali paure e a comunicarle, accogliendo al contempo il vissuto altrui, per accostarci all’altro senza l’arroganza di voler essere sempre dalla parte giusta, ma con il proposito di confrontarsi nel rispetto reciproco, di comprendersi, di arricchirsi ed evolvere come individui e come appartenenti ad un unico variegato gruppo: gli esseri umani.